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"L'uocchi", ricetta contro il male

Immagine del redattore: Andrea FamigliettiAndrea Famiglietti

Prima di procedere con la lettura di questo articolo, ci tengo a precisare che l’espressioni dialettali utilizzate sono quelle avellinesi che differiscono, seppur in minima parte, da quelle napoletane.


Chi è cresciuto al Sud ve lo potrà confermare: i mal di testa non necessariamente si curano con le aspirine!


No, non è una questione legata alla medicina alternativa derivata in qualche modo a pratiche new age, ma è frutto di un rituale di cura che affonda le radici nel passato magico/folklorico delle numerose comunità di cui si compone il Mezzogiorno (e non solo).


Ma procediamo con ordine. Ci sono giorni in cui percepiamo un mal di testa fastidiosissimo, un senso di spossatezza debilitante e altre forme di malessere che ci costringono a vivere la giornata con una certa difficoltà. La causa? Semplice, il malocchio, o come si direbbe qui in Irpinia (e in gran parte della Campania) l’uocchi.



Gli ingredienti per l'uocchi: acqua e olio

Essere colpiti dal malocchio, o più precisamente, tenere l’uocchi è una condizione particolare in cui la persona affetta da tale situazione ha attirato su di sé sentimenti di invidia, rabbia, o, più semplicemente, di gelosia di qualcuno.


Se facciamo fede ai lavori di Ernesto de Martino e in particolare al suo Sud e Magia (1959), scopriamo che una prima presa di coscienza culturale della dimensione naturale e profana delle forme di fascinazione, e quindi non necessariamente magica, si ha col pensiero greco democriteo. In questo periodo – prosegue de Martino – si hanno i primi abbozzi di una teoria fisica secondo la quale la fascinazione andrebbe ricondotta ad emanazioni che si staccherebbero dal corpo dei fascinatori, partendo proprio dall’occhio e dallo sguardo di quest’ultimi, e con il loro carico di malignità ed invidia, arriverebbero al malcapitato di turno.


L’analisi e lo studio di de Martino prosegue e attraversa diverse epoche storiche, il nostro cammino, invece, si ferma qui. Sì, perché non dobbiamo perdere il nostro obiettivo principale, ovvero come è possibile curare un mal di testa senza l’aspirina. Semplice togliendo gli occhi.


La pratica differisce non solo per città e comuni, ma anche di famiglia in famiglia, ma grossomodo è la seguente: abbiamo appurato di avere il malocchio, la sintomatologia conduce a questo e dobbiamo cercare qualcuno che conosce a menadito il rituale; il più delle volte la persona individuata è una donna anziana, per il sottoscritto è sempre stata nonna materna, che inoltre potrà tramandare la formula segreta solo nella notte di Natale ed esclusivamente alla nipote femmina (anche in questo caso esistono svariate metodologie, ma la maggior parte di queste seguono una linea matrilineare).


Nel video che segue potete vedere mia nonna mentre fa l'uocchi a mia sorella:


Dopo aver comunicato alla curatrice di essere sotto effetto degli “occhi”, la stessa provvede a farvi accomodare su di una sedia e prendendo un piatto fondo lo riempie di acqua. La procedura può avere inizio: con la mano libera traccerà il segno della croce sulla propria fronte per tre volte e con la mano occupata farà oscillare il piatto sulla vostra testa, scriorinando la formula necessaria. Vengono poi prese, con un dito, delle gocce di olio che vengono gettate nel piatto per poi essere osservate. La curatrice osserverà le gocce d’olio dilatarsi e in base alla forma riuscirà a definire il numero e genere di coloro che hanno gettato il malocchio. Il rituale va ripetuto almeno tre volte, fin quando alla terza volta gli occhi scompariranno. Durante tutto il tempo del rituale di guarigione vi ritroverete a sbadigliare, quello secondo molti è il segno del malocchio che sta svanendo.


Una volta conclusa la formula vi ritroverete rigenerati e con ogni forma di malessere scomparso, perché in fondo come recita un vecchio detto campano:


“l’uocchi so peggio ri scoppettate”


(Il malocchio fa più male di un colpo di fucile)


 

Consigli sparsi di letture e visioni correlate:


- Ernesto de Martino, Sud e Magia, Feltrinelli, 1959, Roma;


- Luigi Di Gianni, "L’attaccatura", 1971, Napoli



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