I classici Disney ci hanno accompagnato nella crescita e le loro canzoni hanno un posto fisso nella nostra memoria, ma sapevate che molte delle loro avventure animate derivano da riferimenti storico-letterari molto famosi? Con questo articolo, dedicato a Tarzan (1999) inizia una rubrica alla scoperta delle grandi storie Disney e delle loro fonti di ispirazioni.
Non tutti sanno che Tarzan, uscito nel 1999 come 37° classico disney tradizionale, è considerato l'ultimo del Rinascimento Disney, un periodo che va dal 1989 al 1999; con questo termine si intende il decennio in cui i Disney Studios si affermarono nettamente nel cinema, creando moltissimi capolavori e trovando un altissimo successo con molti dei film d'animazione prodotti, come La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin, Il Re Leone , Pocahontas, Il Gobbo di Notre Dame, Hercules, Mulan e in ultimo...Tarzan (possibili spoiler dei prossimi titoli in rubrica? Chissà!)
La sua storia si svolge nella fitta giungla africana dove Tarzan, appena neonato, viene adottato da una femmina di gorilla, Kala. Tarzan cresce nel branco senza conoscere nulla del mondo esterno fino a quando, ormai adulto, entra a contatto con un gruppo di londinesi venuti fino in Africa per svolgere delle ricerche proprio sui gorilla. Da questo momento in poi Tarzan scoprirà tutto ciò che accade fuori dalla natura e dal suo branco o, per citare Phil Collins (che ha creato l'indimenticabile colonna sonora del film) al di fuori di sè. Ma la storia di Tarzan da cosa deriva? In primis, come per molti altri film Disney, da un libro: si tratta del romanzo Tarzan delle Scimmie di Edgar Rice Burroughs.
Tarzan è, difatti, il nome di un personaggio immaginario protagonista di questo romanzo, reso noto per la prima volta nel 1912 sulla rivista The All-Story e poi edito nel 1914.
Il film riprende in maniera simile la storia del romanzo, ma non puntuale: difatti, ci sono alcune differenze, come il fatto che Tarzan venga adottato da delle scimmie e anzi l'unico gorilla menzionato è suo nemico. Il cambiamento più grande riguarda in realtà il personaggio di Clayton, il vero e proprio cattivo del film: nel libro, invece, Clayton è il cugino di Tarzan e non lo ostacola nella sua storia.
Questo cambiamento è stato probabilmente dettato dal fatto che i registi del film volessero evidenziare un cattivo che rappresentasse delle caratteristiche negative ben precise, che il pubblico individuasse come qualcosa da contrastare: la violenza, l'arroganza, la volontà di prendere tutto senza preoccuparsi degli altri e degli effetti delle nostre azioni sul resto del mondo. Questo è Clayton nel film Disney, questo è ciò che turba l'immaginario della pace della natura selvaggia e la quiete di un ecosistema inviolato: il luogo dove vive il "buon selvaggio".
Difatti, Tarzan, nel libro quanto nel film, rappresenta l'archetipo del bambino selvaggio cresciuto lontano dalla civilizzazione e quindi in un contesto di purezza assoluto (secondo la visione alla base del libro); ha poi l'occasione di entrare a contatto con la civilizzazione, capire le sue insidie, per poi rifiutarla definitivamente e scegliere la natura. Questo è ciò che troviamo alla base di tutto; la radice di questa riflessione risiede nel XVII secolo quando, per la prima volta, si cominciò a parlare di Mito del Buon Selvaggio.
Prima del libro: il Buon Selvaggio
É stato nominato più volte, ma cosa si intende per "Mito del Buon Selvaggio"? Si tratta di una convinzione, sviluppatasi soprattutto nel XVIII secolo, secondo cui l'uomo in origine sarebbe stato un "animale" tendenzialmente buono e pacifico e che solo successivamente, corrotto dai valori della società organizzata, dalla tecnologia e dal progresso, sia diventato malvagio e crudele, lasciando indietro i suoi istinti.
Anche se questo pensiero trova particolare sviluppo e adesione nel periodo dell'Illuminismo, quindi nel XVIII secolo, in realtà la credenza che i primitivi fossero sia più buoni che più felici, è antica. Difatti, risale al XV secolo, quando alcuni stati europei iniziarono ad espandersi oltremare, prima in Africa e poi in Asia e nelle Americhe. Parliamo, quindi, del primo colonialismo europeo, quando si cercavano tanto le ricchezze delle materie quanto nuove risorse alimentari; sebbene gli Europei riconoscessero i "selvaggi" come esseri umani, non avevano intenzione di trattarli come loro eguali politicamente o economicamente, ed anzi iniziarono a riferirsi a loro come inferiori socialmente e psicologicamente, non troppo diversi dalle bestie e dagli animali. E da qui che nasce lo stereotipo de "il primitivo" e de "il selvaggio" che in realtà erano un modo per dare una giustificazione ai genocidi e alla dominazione europea.
Col passare dei secoli, gli europei hanno sviluppato un sentimento di curiosità e utopistica invidia per queste popolazioni: consapevoli delle insidie e della malvagità di cui la loro società tecnologica era satura, cominciò quindi a svilupparsi l'idea del "buon selvaggio", che si pone quindi come un tentativo di ristabilire il valore degli stili di vita indigeni e delegittimare gli eccessi imperialistici. Gli uomini colonizzati erano definiti "esotici" e, molto spesso, visti come moralmente superiori, in modo da controbilanciare le inferiorità politiche ed economiche percepite. Nel contatto con la natura si ritrovava una saggezza perduta, uno stile di vita semplice per rispondere alla crudeltà e alle invidie della società civilizzata.
Il "selvaggio" ideale (ovvero l'immagine che gli europei si erano creati dell'altro da loro), combaciava quindi con l'uomo non ancora toccato dalla tradizione culturale europea: è vero che alcuni viaggiatori ne avevano messo in evidenza caratteristiche negative (fino a negare che essi potessero considerarsi uomini), ma altri invece insistevano su caratteristiche estremamente positive: la sua bontà naturale, la sua vita secondo natura, l’organizzazione felice della loro società. Nasceva il mito del buon selvaggio, il polo opposto dell'uomo civilizzato europeo, ‘corrotto dalla sua propria civiltà’.
Questo mito è, come detto, un caposaldo che prende i suoi passi all'epoca dell'illuminismo, e, tra i tanti filosofi che si sono interessati a questo argomento, colui che ha contribuito più di tutti a definire questo argomento è Jean-Jacques Rousseau, uno dei più importanti filosofi e pedagoghi del Settecento. Questi era infatti fortemente convinto che l'uomo, al suo stato naturale, fosse tendenzialmente una creatura buona e pura, poi corrotta dalla civilizzazione; la frase iniziale del suo romanzo di educazione "Emilio o dell'educazione", ci aiuta a capire questo concetto: «Tout est bien sortant des mains de l'Auteur des choses, tout dégénère entre les mains de l'homme.» ovvero «Ogni cosa è buona mentre lascia le mani del Creatore delle cose; ogni cosa degenera nelle mani dell'uomo».
Per essere precisi, per Rousseau l'uomo non è propriamente un "buon selvaggio", né un "cattivo selvaggio", ma una creatura neutra e ingenua. Parlare di "buono" è quindi una semplificazione del suo pensiero, per quanto corretta, che si muove dalla convinzione che esista un uomo prima della civilizzazione, un uomo naturale.
L'esistenza dell'uomo naturale, dunque, e quello da cui si muove il libro Tarzan delle Scimmie e, di conseguenza, il capolavoro Disney.
Tarzan è, a tutti gli effetti, un selvaggio ideale con delle caratteristiche e virtù ben precise: vivere in armonia con la natura che lo circonda, una grandissima innocenza, ingenuità, l'incapacità di mentire e di ingannare e l'essere profondamente generoso. Tutte quelle caratteristiche che gli europei non ritrovavano nelle loro corrotte città, dove gli animi delle persone erano tendenzialmente appesantiti e maligni, pronti ad ingannare il prossimo (virtù che, invece, ritroviamo proprio in Tarzan).
A contatto con la natura e con la terra, per citare di nuovo Phil Collins , "Un paradiso intatto che vive di pace e vivrà per sempre con semplicità" ed è proprio questa caratteristica, la semplicità, che rende l'animo del selvaggio Tarzan tanto pura e innocente. Guardando il film siamo ovviamente spinti nel riconoscere l'eroe in Tarzan, per le sue qualità positive e le sue virtù, e questo perché è stato reso ancor più manifesto il contrasto tra la crudeltà della civiltà (rappresentata, ovviamente, da Clayton) e la bontà della natura, seppur con le sue contraddizioni e i suoi pregiudizi che ritroviamo nella figura del gorilla capobranco Kerchak, capace però di redimersi all'ultimo. Dunque, come un novello buon selvaggio, Tarzan ci insegna a ritrovare la bontà nella semplicità della natura e ricordare i valori della terra, della innocenza e della purezza di cuore.
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