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Il folklore dei nani tra polemica e leggenda

Immagine del redattore: Alessandra TamburiAlessandra Tamburi

Sapevate che la Disney sta preparando un nuovo live-action su Biancaneve? Beh, le carte in tavola stanno cambiando e questo a causa della polemica iniziata da Peter Dinklage: l'attore, famoso per il ruolo di Tyrion Lannister nella serie 'Trono di Spade', è stato ospite del podcast "WTF" di Marc Maron il 24 gennaio scorso e qui ha sollevato qualche interrogativo riguardo le modalità scelte dalla Disney per rimaneggiare il cartone, uscito sui grandi schermi ben 85 anni fa.


L'attore non ha usato troppi mezzi termini, sottolineando il grosso controsenso della Disney del mostrarsi progressisti, scegliendo un'attrice colombiana per il ruolo di Biancaneve e facendo vedere di essere disposti a modificare la storia, per poi però lasciare i canonici sette nani minatori; "[...] stai ancora realizzando quella f*****a storia arretrata di sette nani che vivono nelle grotte?"

Insomma, dopo 85 anni, Biancaneve è forse svincolata dallo stereotipo della principessa da salvare con un bacio (vedremo poi nel live-action), ma i nani della storia sembrano non potersi evolvere quanto lei.



Difficile prevedere come si concluderà la vicenda, ma una cosa è certa: le leggende folkloristiche non sono sempre state bonarie, contribuendo a creare una certa reputazione negativa intorno alla parola "nano"; pensiamo che alcuni modi di rappresentarli o alcune credenze sono in circolo ancora oggi!


Ma è solo questo? Andiamo ad esplorare l'interessante folklore che si cela dietro la figura del nano: avido minatore o astuti fabbri, vediamo insieme quando nascono le loro leggende!

Illustrazione di due nani del 1895 di Lorenz Frølich per una edizione del XIX secolo della Völuspá

Nani e giganti: l'Edda Poetica e la mitologia norrena


L'Edda Poetica, o meglio Eddukvæði, è una raccolta di poemi in norreno, tratti dal manoscritto medioevale islandese Codex Regius, risalente al XIII secolo. E' qui che per la prima volta viene raccontata la nascita e la genealogica dei nani. Si narra infatti di una grande guerra, in cui combatterono gli dei contro un temibile avversario: il gigante Ymir [Attack on Titan, any of you?] e i suoi figli. Purtroppo per il gigante, gli dei ebbero la meglio e Ymir fu sconfitto: il suo corpo venne utilizzato per realizzare le isole e i continenti, il suo sangue divenne invece il mare, le sue ossa montagne; infine, il teschio il cielo, dai suoi capelli nacquero gli alberi e dal suo cervello le nuvole.


Invece, dalla carne di Ymir fuoriuscirono delle creature, descritte come robuste e di bassa statura, dalla forma umana, ma non uomini. Furono gli dei a chiamarli nani (in norreno dvergr, in lingua germanica đwergaz, da cui poi è derivato l'inglese dwarf) e li destinarono ad abitare le profondità della terra, nel reame del buio e delle tenebre chiamato Nidavellir. Tra i nuovi nani nati, ne scelsero successivamente quattro, i più robusti e forti, e li incaricarono di sorreggere i quattro angoli del cielo: questi si chiamavano Austri, Vestri, Nordri e Sudri. e li misero a reggere i quattro angoli del cielo. Invece tutti gli altri nani diventarono fantastici fabbri e artigiani e furono proprio loro a fabbricare il martello di Thor, Mjöllnir.


Eitri e Brokkr forgiano Mjǫllnir, Illustrazione di Rona F. Hart, 1914

La cattiva reputazione dei nani sembra prendere piede proprio dalle storie raccontate nell'Edda Poetica: infatti, è vero che la loro più grande caratteristica era il fortissimo legame con la terra e l'abilità nel creare manufatti, ma erano generalmente considerati egoisti, avidi e astuti.


Dai norreni alla Contea


«Sono una razza per lo più robusta e resistente, segreta, laboriosa, fedele ai ricordi del male (e del bene) ricevuto, amante della roccia, delle gemme, delle cose che prendono forma nelle mani degli artigiani più che di ciò che vive di una vita propria. Ma non sono di natura malvagia, e pochi di loro servirono spontaneamente il Nemico, nonostante ciò che raccontavano le storie degli uomini. Questi infatti invidiavano la loro ricchezza e l’arte delle loro mani, e fra le due razze regnava l'ostilità


Così J. R. R. Tolkien diceva dei nani, nella Appendice F, Popoli e Lingue della Terza Era del suo capolavoro: il Signore degli Anelli.

Non tutti sanno però che nei Racconti perduti e Racconti ritrovati, due opere relative agli anni '20 del Novecento, Tolkien presenta i nani come creature malvagie, disposti a stipulare alleanze persino con gli Orchi. Già in questi primi scritti i nani hanno caratteristiche che rimarranno in tutte le opere dell'autore: bruttezza fisica, barbe lunghe e le abilità di modellare il metallo e di commerciare, ma la visione che ha di loro l'autore non è per nulla positiva. Invece, poco dopo aver scritto questi racconti, i nani tolkeniani diventano creature non necessariamente malvagie, interessate unicamente alle ricchezze e al commercio. Ed è così che vengono presentate nel primo importante racconto di pubblicato di Tolkien: Lo Hobbit.


La compagnia dei Nani di Thorin Scudodiquercia, Lo Hobbit

Inizialmente, al principio del racconti, i nani vengono presentati a qualcosa di molto simile agli gnomi, protagonisti delle favole dei Grimm, cui sono simili sia per aspetto che per carattere: amano cantare, indossano cappucci colorati e sono buffi e impacciati. Con l'incidere del racconto, tuttavia, i tredici nani rinnegano gli atteggiamenti fiabeschi e diventano simili a quelli della mitologia norrena, di cui Tolkien era un grande estimatore e dal quale ha ripreso praticamente tutti i nomi della compagnia: Dvalinn, Kili, Fili, Dóri, Nóri, Óri, Óinn, Glóinn, Bífurr, Báfurr, Bömburr e Þorinn. L'unico nome che Tolkien ha inventato è Balin. Non solo, l'epiteto di Thorin, ovvero "Scudodiquercia" deriva da un nome di uno dei nani dell'Edda Poetica, Eikinskjaldi ovvero eikinn (di quercia) +‎ skjǫldr (scudo).


Più di un cambio di opinione quindi, ma sicuramente la resa finale è stata un bel miglioramento rispetto a quanto le favole e le leggende, ma anche l'effettiva storia, avessero tramandato fino a quel momento. E parlando di storia...


La passione di Velázquez: la rappresentazione dei nani nell'arte


Dici Seicento, dici Barocco, dici sfarzo: un periodo in cui sregolatezza ed eccesso la facevano da padroni. Per alcuni, c'era un altro elemento che non poteva mancare: ciò che era bizzarro. La diversità diventava qualcosa da esibire e, purtroppo, i nani di corte furono oggetto di questo grande teatro. Difatti, Diego Velàzquez, realizzò una serie di opere presso la corte di Filippo IV di Spagna, nelle quali nani o buffoni di corte sono gli indiscussi protagonisti. Il modo del pittore di mostrare le persone affette da nanismo è spesso crudele: affiancati ad animali e oggetti che facciano effettivamente capire la loro altezza, vestiti con pesanti abiti ricchi di elementi, che risultano spesso grotteschi.

Per quanto la situazione possa sembrare orribile, non tutti sanno che in realtà queste persone erano molto apprezzate e spesso più che desiderate nelle corti: la loro diversa fisicità gli aveva conferito uno status speciale, distinguendoli da tutti gli altri, ed erano ricercati dalle corti d’Europa come una curiosità da esibire, soprattutto nel Seicento. Ma non solo: molto spesso, queste figure erano depositari di un rapporto fiduciario col Signore, venivano loro affidati compiti molto speciali ed erano ricchi di privilegi.


Diego Velazquez (o scuola), Nano con cane, 1640

Vantaggi e svantaggi, miti e verità, fino all'epoca moderna gli stereotipi non sono mai stati del tutto superati. Una prova? Una delle canzoni più iconiche del grandissimo Faber, Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura?

Parliamo di Un Giudice, la canzone del cantautore genovese che uscì nel 1971 insieme a Un matto, come due singoli. Nel brano viene raccontata la vicenda di una persona affetta da nanismo che, tramite i suoi faticosi studi, riesce a diventare prima procuratore e poi giudice finalmente "Arbitro in terra del bene e del male". Il percorso raccontato da De Andrè è colmo di ostacoli e soprattutto di prese in giro e maldicenze, come egregiamente espresso in questa strofa, rimasta negli annali:


È triste trovarsi adulti

Senza essere cresciuti

La maldicenza insiste

Batte la lingua sul tamburo

Fino a dire che un nano

È una carogna di sicuro

Perché ha il cuore troppo

Troppo vicino al buco del c***


Questo testo di Faber, come tutto l'album Non al denaro non all'amore né al cielo, è il risultato di una magistrale reinterpretazione della Antologia di Spoon River, una raccolta di poesie del poeta statunitense Edgar Lee Masters, pubblicata tra il 1914 e il 1915. La storia raccontata da Masters è molto simile, ovviamente, a quanto riportato dal cantautore: un giovane garzone alto 1.58 m si applica nello studio, fino a diventare giudice, ma le maldicenze su di lui non conoscono pace. E' per questo motivo che coltiva un forte rancore, fino a che...


[...] tutti i pezzi grossi

che vi avevano schernito, sono costretti a stare in piedi

davanti alla sbarra e pronunciare “Vostro Onore”

Be’ non vi par naturale

che gliel’abbia fatta pagare?


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