Le Dolomiti e, in generale, l'area alpina italiana è costellata di località impervie e a volte inaccessibili. Nel corso del tempo, le popolazioni locali hanno creato miti e leggende ambientate in questi luoghi vicini ma irraggiungibili, in cui la natura è padrona incontrastata. Tra le figure ricorrenti del folklore dell’arco alpino ci sono le bellissime e selvagge anguàne, protagoniste di numerosi racconti e fiabe tramandate oralmente, che al giorno d’oggi stanno purtroppo scomparendo.
Queste leggende affondano le proprie radici nei culti preistorici dell’acqua e presentano caratteristiche comuni a quelle di altre aree, anche molto lontane tra loro, abitate in passato dai Celti. Sono molte, variegate e si intrecciano le une con le altre, tanto che le anguane (chiamate anche in altri modi, tra cui agane, longane, gane e subiane) assumono caratteristiche molto diverse mano a mano che ci si sposta lungo l’arco alpino.
Lo stesso termine anguana ha origini dubbie: si pensa che possa derivare dal latino popolare “aquana”, un chiaro rimando all’acqua, oppure da “anguis”, un rettile acquatico anch’esso appartenente al folklore e alla mitologia. E in effetti le anguane sono ninfe dell’acqua che spesso si camuffano in serpenti.
Possiamo intuire ulteriori caratteristiche delle anguane da un’altra possibile origine etimologica del termine: le parole cimbre au, “valle”, e fan, “dea”. La tradizione popolare le vuole bellissime, dai capelli biondi o azzurri molto lunghi, sempre vestite di nero o bianco (a seconda della zona), preveggenti, amanti della danza e del canto al chiaro di luna, generose nel condividere il cibo dei loro banchetti e abilissime nel lavare anche i panni più sporchi; a volte appaiono simili alle sirene, metà donne e metà pesce.
Se alcune tradizioni le vogliono benigne, altre le vedono malevole e vendicative, dall’aspetto molto diverso da quello descritto in precedenza: donne vecchie e arcigne dai piedi di capra o torti all’indietro, con lunghi seni gettati sulle spalle. Alcune leggende narrano di annegamenti, giovani rapiti per notti intere e neonati umani portati via ai propri genitori e restituiti solo dopo aver ricevuto insegnamenti sulle arti magiche. Alcuni studiosi hanno identificato nell’evangelizzazione dell’arco alpino lo spartiacque tra le due concezioni della figura dell’anguana: con l’arrivo del cristianesimo, esse smisero di essere ninfe dell’acqua e divennero creature legate al demonio.
Un terzo filone di leggende descrive le anguane come creature “moralmente grigie”, per usare un termine popolare di questi tempi. Ad esempio, si narra che un uomo avesse sposato un’anguana, che i due avessero un matrimonio molto felice e anche dei figli. Una sera l’uomo rimproverò alla moglie di avere i piedi di capra. L’anguana se ne andò e né il marito, né i figli la rividero più; tuttavia la loro casa e i loro affari furono sempre seguiti da una buona stella, come se qualcuno li avesse a cuore e vegliasse su di loro con affetto e previdenza.
In realtà non è raro che le anguane prendessero marito tra gli umani, seppur pretendendo condizioni ben precise: lo sposo non avrebbe mai dovuto accarezzarle in viso, girare loro attorno per tre volte o pronunciarne il nome. Altre narrazioni le vogliono più vicine alle streghe che alle ninfe, con tutto ciò che questo comporta. Non sorprende, alla luce di queste leggende, che il termine anguana abbia poi assunto un significato dispregiativo (e misogino) che in alcune aree veniva rivolto, fino a non molto tempo fa, a donne considerate di malaffare.
A riprova della loro popolarità nei territori prealpini, si registrano, soprattutto in Veneto, toponimi che rimandano chiaramente a queste ninfe: solo in provincia di Vicenza si riscontrano oltre 30 luoghi, tra cui le Grotte delle Anguane (Lugo di Vicenza) e il Gorgo delle Anguane (Pedemonte); in Val Canale, provincia di Udine, c’è il Buso, “buco”, delle Anguane, e a Quinzano vicino a Verona le Sengie delle Anguane. Poco più in là, in Lessinia, esse vivevano nella Spelonca delle Anguane e divoravano i viandanti incontrati di notte, tanto da richiedere l’intervento di un vescovo esorcista che le fece scappare sui monti di Trento: si dice infatti che solo le donne e i membri del clero fossero immuni agli incantesimi delle anguane. I bambini, in particolare, non erano in grado di difendersi e veniva raccomandato loro di non recarsi da soli nei boschi: in questo senso, le anguane rivestivano una funzione pedagogica assimilabile a quella dell’Uomo Nero.
Descrivere con precisione la figura dell’anguana non è facile. Le leggende su queste ninfe, al pari di tutte le storie appartenenti alla tradizione orale, si mescolano e si sovrappongono, creando un risultato confuso e indefinito; e forse è proprio in questa fumosità che risiede il fascino del folklore legato a tradizioni antiche e localizzate.
Fonti
Coltro, D. (2006). Gnomi, anguane e basilischi. Esseri mitici e immaginari del Veneto, del Friuli-Venezia Giulia, del Trentino e dell’Alto Adige. Sommacampagna (VR), Cierre Edizioni
Dal Pan, C. (2010). Le anguane: magia, appartenenza e identità dell’Oltrechiusa Ladina. Borca di Cadore (BL), Istituto Ladin de la Dolomites
Martello, P. (2019). La porta del bosco. Sulle tracce delle leggende cimbre. Vicenza, Altra Definizione Edizioni
Rubini, G. (2002). Acqua magica. Immaginario fantastico popolare e anguàne a Piovene e nelle zone limitrofe dell’Alto Vicentino. In AA. VV., Acqua e acque della Valleogra. Schio (VI), Edizioni Menin
Simonetti, L. (2008). Fiabe e leggende vicentine. Treviso, Editrice Santi Quaranta
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